Per obliqui voli” di Donatella Tesi

Casa Editrice: NICOMP Laboratorio Editor

Presentazione: Prof. Carmela Costanzo

L’autrice del libro, erano gli anni ottanta, fu rapita e, per mesi, in pieno inverno, visse in una buca di due metri per tre, sulle colline toscane. Fu sottratta alla famiglia e costretta a vivere nel fango, addirittura ringraziare i carcerieri quando le portavano una bevanda calda. Questi, quando capirono di essere braccati, l’abbandonarono e fuggirono via!

Leggendo questo libro, mi sono resa conto che non solo ho viaggiato con l’autrice ma sono stata coinvolta nei suoi stati d’animo, ho provato le sue emozioni, ho visitato con suoi occhi luoghi ai confini della realtà, un vero e proprio transfert!
Nel testo le parole scorrono come acqua di sorgente e ti conducono per viaggi meravigliosi, attraverso paesaggi naturali ed antropici molto suggestivi! Il libro non è un resoconto di viaggi intorno al mondo e offre numerose chiavi di lettura. L’amore per il poeta, l’amore ed il rispetto per la natura, la condizione della donna in alcune regioni della terra: Dove sono le donne in questa terra?
Il viaggio come terapia “consente di disperdere il dolore nelle strade del mondo”.
A volte, consente di oltrepassare il confine tra il terreno e l’altrove!
Le dimensioni spazio-temporali, in alcuni territori, si dileguano, si dissolvono in una a-temporalità suggerita dall’incanto dei luoghi. Un tuffo nell’altrove.
Tutto questo nel sud del mondo…
Il leitmotiv è l’amore, mai rimosso, così’ presente, così vivo che accompagna Donatella ovunque, la fa vibrare…A volte sfiorandole il viso, a volte soffiandole tra i capelli.
La prima tappa del viaggio è la Russia del poeta (da Vilnius proviene l’ambra della sua poesia), molto vicina alla sua città: San Pietroburgo.
Ambre di tutti i colori…Le lacrime dei pini!
“L’ambra mi parla ancora di lui, della sua poesia, che io ho raggiunto come il nido caldo delle città, che ha visto ed accarezzato con il cuore, di ambra chiara e scura, dorata e lattea.  Il nostro destino insieme dove balenano i cupi colori del baltico, ombroso mare, riscaldato appena dal sole tiepido delle notti bianche.
San Pietroburgo ha una luce, che ferisce, in queste notti bianche, alle undici di sera sulla Neva; il sole non tramonta e invade di rosa, celeste, giallo i palazzi settecenteschi,  esaltandone la bellezza. Lui, adesso, è nella luce del suo cielo pietroburghese, si è fuso nelle notti della sua città e non l’ha più lasciata.
Poi l’autrice si trasferisce in Tanzania, regno degli animali, in cui la natura segue il suo eterno corso, mentre l’uomo resta sullo sfondo. L’uomo spettatore stupefatto, attento, rispettoso, colpito da folgorazioni di bellezza e da un senso di sgomento e di pausa: Piccolo punto nella sconfinata terra, un nulla nella notte scura della creazione, dove sprofonda il mistero. Solitari, i Masai si ergono dentro la vegetazione, sono i custodi della loro natura selvaggia.
Centinaia di animali in libertà, in una natura sconfinata. Una bellezza straniante e…le acacie si stagliano oltre il cielo: ombrelli spalancati in solitudine creano trine verdi nell’azzurro…
Forte Gwalior: La perla delle foreste indiane…
Qui ancora sfilano le donne, avvolte nei sari colorati arancio, viola e giallo: Punti di allegria nella loro totale miseria…Sfilano lungo le strade di polvere, con enormi fascine sulla testa, per accendere il fuoco nelle loro povere case.
Kenya: La bellezza del mondo mi stupisce sempre, dice Donatella, non siamo soli nella notte, una parte di Universo infinito, dove l’uomo esiste come milioni di anni fa, poi alza gli occhi al cielo, saluta la notte, venera la luna, bacia le stelle, prega un suo dio!
Samarcanda le appare come una visione emersa dalla magia di una splendida notte “intessuta di luce e bellezza, trina di pietra, giardini di rose, pavoni blu e viola…”
Donatella ama la vita e la cerca e la trova anche laddove sembra non esserci e riesce a cogliere i battiti, gli aneliti nella natura più arida.
“E poi alla vita chiedo che mi doni all’improvviso la leggerezza del cuore, l’entusiasmo, il desiderio di sperimentare il diverso, il nuovo, anche l’avventura”.
“Nella sabbia giallo-ocra dromedari galoppano all’orizzonte leggiadri ed eleganti nel sole!”
Sana’a (capitale Yemen), storia trimillenaria, paesi di castelli e di città murate: Si cammina lentamente in un mondo antico dove le donne, velate di nero, passano accanto come ombre; tutto è fermo in un tempo lontano e siamo immessi nel “sacro”, mi sento librare e per la prima volta mi sono distaccata da tutto.
Nel momento magico in cui sorge il sole e inonda di luce il deserto, gli uomini si piegano in ginocchio a pregare rivolti verso la Mecca; il senso del sacro proviene dalla terra, che sfiorano con la fronte; poi si alzano e, con movimenti lenti e ritmati, si mettono a danzare in modo circolare intorno a un punto, che è forse il centro, il fulcro, l’inizio di tutto. Del caos primordiale da cui sono nati; entro nella loro corrente misteriosa e spirituale, espressa nella gioia della danza, nella preghiera che va verso un confine sacro…
E la donna…
All’età di 16 anni indossa il velo e non può più essere vista in pubblico. Una volta sposata è proprietà del marito.
All’età di tre anni le bambine subiscono l’infibulazione, la donna è una specie di schiava.
“A volte, appaiono queste figure femminili, nei campi a pascolare le capre; snelle e tutte nere, in testa uno strano copricapo di paglia a punta conica, simile al cappello delle streghe.
Invece sono figure leggiadre e delicate, si muovono con grazia.

Povere donne, in eterno lutto per la loro perduta femminilità.

Si stringe il cuore nel vederle a gruppi lavorare nei campi piegate in due, con la grazia dei loro corpi neri e sottili, che hanno partorito tanti figli, oppure con la schiena eretta sul somaro, sedute su un lato, la fascina di legna accanto. Portano il loro lutto con dignità. Sembrano figurine disegnate nel verde di questi campi, da un pittore surrealista, che ritrae il contrasto fra bellezza e dolore!
A volte quel volto velato lo nascondono ancora di più, quasi volessero celare la loro natura di essere donne nelle pieghe di quei solchi di terra madre, che le ha custodite per secoli e salvate dalla civiltà.
“Dopo aver visto queste donne, sepolte nei secoli della loro storia, l’autrice afferma: “Non potrò più essere la stessa, sarà difficile riprendere i panni di una donna occidentale”.
E ancora: Il viaggio cominciato come una fuga dal dubbio è finito con una riflessione dolorosa sulla vita e sulla morte, sull’accettazione del dolore, sulla purificazione del corpo e dello spirito.
e ancora…”Ricordo” il suo poeta!
Non avevo fatto in tempo a respirare assieme a lui l’aria piena della vita…che il suo volto era in agguato, la rincorreva, si nascondeva, le sorrideva.
Il viaggio come terapia…
Allontanamento da se stessa e da lui, dal golf di cachemire blu e bianco, un paio di occhiali sul comodino, il bicchiere sul tavolo da dove ha bevuto…
Lo getto in mare il ricordo, perché si confonda con le onde e mi lasci sola!
Ma il “Ricordo” è tornato, insistente: Non mi lascerà più! Mi inonda di sé e io lo tengo per mano come un compagno di ventura, nell’avventura.
Qui trionfa la Poesia!


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