
Benefici fisici e controllo eventi, l’esperienza di Checco Galanzino
Come limitare i danni fisici dello stress negli esseri umani
La convinzione di avere il controllo sugli eventi può limitare i danni fisici dello stress anche negli esseri umani. In alcune sperimentazioni è stato concesso agli ospiti di case di riposo di aumentare il loro margine di controllo sulla vita quotidiana; gli anziani potevano scegliere il menù dei pasti, decidere attività sociali da praticare, occuparsi di piccole incombenze, normalmente svolte dal personale di assistenza. Il risultato è stato sorprendente: erano tutti più felici e il loro stato di salute migliorò molto. La convinzione di poter controllare l’ambiente e gli eventi diminuisce l’impatto fisico dello stress.
Sentire di potercela fare
Piatto. Arido. Pauroso. Sotto un cielo senza nuvole, nella calura allucinante, la distesa di sabbia e sassi va al di là dell’orizzonte e della fantasia umana. A volte è grigia come la cenere spenta, a volte marrone, ora è violetta ora è nera come fuliggine o rosa rossastra come boccioli di pesco. Un uomo potrebbe camminare per giorni e giorni nella stessa direzione, senza incontrare nient’altro che la propria morte, un assoluto paesaggio lunare di polvere mossa da un continuo vento caldo e impietoso. Questo è il TaKlamakan il significato è: ci entri e non ne esci mai! I Mongoli lo chiamano semplicemente Gobi, deserto.
Eppure un uomo, un italiano, Checco Galanzino, come un miraggio appare…
Ha attraversato di corsa i principali deserti del mondo e, per conto di Greenpeace porta un messaggio contro la desertificazione del pianeta. Non è un superman ma un padre di famiglia non più giovane. Si ritiene un omino resistente, ha messo in piedi una società che costruisce impianti per la riconversione dei rifiuti; da ciò la sua passione per la salvaguardia dell’ambiente.
Egli, lavorando sul senso del controllo, pur non essendo un fuoriclasse, ha compiuto imprese incredibili. Prima del Taklamakan , aveva partecipato a spedizioni in Karakorum, Himalaya e sulle Ande. Poi scopre la passione per i deserti in velocità. Le prime gare in Mauritania, Sahara, Marathon dessables. Un giorno venne a sapere che sul pianeta esiste un “challenge” una sfida da corsa molto particolare che si chiama “Four Deserts”: quattro gare di corsa, in autosufficienza, nei deserti più duri al mondo: Atacama, Gobi, Sahara e Antartide( deserto bianco). Leggendo la documentazione notò che nessuno era riuscito a terminare le quattro gare nello stesso anno.
Checco comprese che Atacama, Gobi e Sahara lambiscono aree minacciate dalla desertificazione dovuta alle mutazioni climatiche. Checco, allora, pensò di utilizzare questa sfida per lanciare un messaggio di allarme sui rischi che sta correndo il pianeta. Nel quadro della campagna di Greenpeace ”Energia e clima” l’impresa vuole richiamare l’attenzione sulla necessità di avviare una rivoluzione energetica basata sullo sviluppo delle fonti rinnovabili. Nasce così l’idea del” milione di passi”; impresa sportiva al limite delle possibilità umane: mille chilometri in quattro competizioni, ciascuna di 250 chilom.(equivalgono a 1 milione di passi), da fare in ambienti estremi, per il terreno e per le condizioni climatiche. Checco è attratto irresistibilmente dall’impresa, ma deve fare i conti con il suo senso di controllo. Gli dicevano: impossibile riuscire…mai nessuno è riuscito. Checco, a livello viscerale, sentiva di potercela fare e pensò di applicare il vecchio metodo: definire obiettivi raggiungibili e lavorare, lavorare, lavorare! Decise di dedicare il 15% del suo tempo agli allenamenti, il 30 alla famiglia, il 55 al lavoro. Occorreva un duro lavoro …la magia non esiste, né l’ipnosi, solo un duro lavoro. Bisognava creare delle esperienze in cui l’atleta potesse padroneggiare delle difficoltà progressive, sempre più sfidanti ma raggiungibili; esperienze intense emotivamente: questi stimoli edificano nuove strutture neurali. Checco cerca di modificare la sua valutazione cognitiva: come dicono gli africani, sembra impossibile si possa mangiare un elefante intero: in effetti lo è, a meno che non lo si mangi un pezzo alla volta. È’ lo stesso trucco che usano i corridori su lunghe distanze: se, per es. un corridore deve correre 100 km. E arrivato a metà pensa che ne mancano ancora 50, probabilmente si ferma. La cosa migliore, allora, è cambiare valutazione cognitiva, cambiare” frame”( cornice di riferimento), concentrarsi sui prossimi 3 km e poi sui 3 successivi fino al traguardo…Quindi non bisogna concentrarsi sull’intera operazione ma porsi piccoli obiettivi quotidiani; in tal modo cambia il rapporto con le sensazioni di fatica.
Così Checco racconta un episodio legato alla gara di 250 km nel Sahara: “ nella prima tappa ho visto il coreano e il danese andarsene via come fulmini e mi sono detto: che ci faccio io , con 15 anni in più di questi, con due figli a casa e un’azienda da mandare avanti? Qui Checco dimostra flessibilità cognitiva, consapevolezza di sé, dei suoi limiti, tolleranza alla frustrazione e capacità di gestire in modo non rigido le proprie convinzioni di controllo. Se avesse applicato lo stile “John Henry”, cioè tentando di inseguire i due fuggitivi), sarebbe saltato in breve tempo. Dopo 10 km, invece, vide caracollare prima il coreano e poi il danese e, quando li ha superati, dopo aver prestato il suo aiuto, disse tra sé: non sono proprio da buttare giù e ho più testa di loro!
Nella “Gobi March” Galanzino è secondo assoluto, anche se il suo obiettivo iniziale per tutte e quattro le gare è: arrivare! All’ “Atacama Crossing”, la gara nel deserto più arido al mondo, si classifica 3° e, in Egitto, nel “ Sahara Bianco”, il deserto più caldo , ottiene il 2° posto.
Si prepara quindi all’ultima prova, l’Antartide e il Grande Freddo.
Carmela Costanzo