La Resilienza…la legge del bicchiere mezzo vuoto
Come reagiamo alle difficoltà? Quanto stress ci provoca un ostacolo, un imprevisto, un problema?
Le persone non sono vittime passive degli eventi stressanti; noi reagiamo alle difficoltà e ci stressiamo in base a come “leggiamo“ la nostra capacità di affrontarle. La “lettura” si chiama valutazione cognitiva ed è quella che ci fa vedere il bicchiere mezzo pieno anziché mezzo vuoto . Epitteto: “La gente non è disturbata dalle cose in sé ma dall’opinione che si ha di esse”. Ma noi come reagiamo alle difficoltà? Quanto stress ci provoca un ostacolo, un imprevisto, un problema? La sensibilità allo stress è, in gran parte, prodotta da noi stessi e dipende da come interpretano gli eventi. Essa dipende da quella che gli psicologi chiamano valutazione cognitiva e ognuno di noi filtra e seleziona gli stimoli che riceve dall’esterno accettando e inserendo nel proprio cervello soltanto quelli che ritiene utili e importanti. Qualcuno afferma che è tutta questione di biochimica: la chimica cerebrale condiziona lo stato dell’umore, la capacità di concentrarsi e di prestare attenzione, la regolazione motoria, la presa di decisioni e i comportamenti. Secondo Edwin Blalock, docente di fisiologia all’università di Alabama, emozioni e pensieri modificano il funzionamento corporeo per mezzo dei cosiddetti neurotrasmettitori ubiquitari. Non esiste, infatti, la separazione fra i tre sistemi: il nervoso, l’endocrino e l’immunitario. Sappiamo con certezza che il cervello può intervenire nel funzionamento del sistema endocrino ed in quello immunitario, grazie ad alcuni neurotrasmettitori (ubiquitari). Siamo abituati a considerare la fatica un dato oggettivo ma invece è un dato costruito, frutto di una serie di interpretazioni eseguite a partire dai puri dati sensoriali che, presi isolatamente, non avrebbero senso. Il nostro cervello assembla una miriade di dati provenienti dalle fibre muscolari, dal tasso di alcuni substrati nel sangue e nel cervello, dalla frequenza del battito cardiaco, dal livello di alcuni gas durante gli scambi respiratori e da molti altri dati; prende tutto ciò e lo miscela, dando origine ad una sensazione finale che arriva alla coscienza come dato unitario : “ho ancora energia” o piuttosto: ”non ce la faccio più”. Ora, se un soggetto interpreta i segnali interni in modo negativo, con ansia o paura, produrrà effetti anche sul piano biochimico, potrebbe avere reazioni di tipo neurovegetativo come, per esempio, la vasocostrizione dei vasi periferici che riforniscono di ossigeno le fibre muscolari affaticate. Questo accelererà ulteriormente l’affaticamento periferico, dando luogo ad un circolo vizioso. La valutazione cognitiva entra in gioco nell’interpretazione di tutte le sensazioni del corpo, non solo nella fatica. Ci permette di decifrare le emozioni dando allo stesso” batticuore” il significato di rabbia piuttosto che di felicità. Ciò è stato dimostrato, alcuni anni orsono, attraverso un celebre esperimento: Stanley Schachter iniettò adrenalina ad un gruppo di soggetti (l’adrenalina è un ormone che aumenta l’attivazione simpatica fisiologica che non vuol dire che renda le persone che lo assumono più brillanti e socialmente disponibili ma al fatto che venga aumentata l’attività di uno dei rami del sistema nervoso autonomo, quello denominato, appunto, simpatico. L’adrenalina fa battere il cuore più velocemente, può far tremare le mani e rendere il viso caldo e arrossato. Si collega l’adrenalina ad un’emozione intensa di paura o di eccitazione. La sperimentazione ha dimostrato che, i soggetti che avevano ricevuto l’adrenalina senza esserne informati, reagivano in base alle informazioni e non in base alla sostanza chimica iniettata. La reazione comportamentale dipende dalla valutazione cognitiva e infatti qualcuno, di fronte ad un problema, invece di focalizzarsi sulla sua sfortuna o sull’infelicità del suo destino, lo vede come una sfida che l’avrebbe reso più forte; ogni difficoltà è uno stimolo. Allora si deve abbandonare il modello intuitivo di stress che è fuorviante perché considera gli stressor ( fattori che provocano lo stress) come qualcosa di oggettivo e le persone come bersagli passivi. E invece ci sono persone che vengono distrutte da piccoli contrattempi e altre che sopravvivono egregiamente a catastrofi planetarie. Ogni stressor viene filtrato dalle risorse interne dell’individuo. La più importante di queste risorse è il modo in cui leggiamo le difficoltà , cioè la valutazione cognitiva. Quindi le persone non sono stressate dagli eventi in sé ma dal modo in cui li interpretano. Perciò la resilienza è una funzione della nostra valutazione cognitiva, del nostro modo di vedere il mondo e di comprendere i fatti. Ne era persuaso duemila anni orsono , il filosofo greco Epitteto. E’ il principio del bicchiere mezzo pieno. Un esempio sportivo: un atleta può vivere una gara sportiva come il consuntivo irrevocabile del suo valore personale e manifesterà, nel pre-gara , una serie di sintomi molesti: insonnia, ansia, secchezza delle fauci, tachicardia, fame d’aria, ( tenderà a non partecipare alle gare); chi invece vede la gara come il rendez-vous di una grande famiglia vivrà ogni competizione come un’opportunità e saprà ricevere insegnamenti da ogni gara. Valutazioni diverse mettono in atto comportamenti e stati d’animo differenti ma, in fondo, si tratta sempre di rivoluzionare il nostro modo di guardare alla realtà per trovarne uno più funzionale ed efficace. “Invece di maledire il buio, prova ad accendere la luce”(antico detto cinese).
Carmela Costanzo